lunedì 24 novembre 2008

Recensione di Maria Grazia

Ringrazio Maria Grazia per questa recensione
che ci ha, tra l'altro, dato l'occasione di conoscerci.
Per chi volesse sfogliare un libro di poesia moderna
ma vicina e capibilissima, vi consiglio le sue pagine.
Serena


Recensione de "Il filo rosso del destino" su Il giornalaccio

" L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. "

(Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)

Fin dalle prime pagine di questo racconto leggero, la giovanissima autrice Serena Avezza ci scaraventa nell'universo inquieto dell'adolescenza vista attraverso gli occhi di alcuni ragazzi di un liceo torinese, le cui esistenze s'intrecciano in un altalenarsi di gioie e dolori accomunandosi nel tormento per la ricerca dell'amore vero e nelle discussioni infinite sull'esistenza del destino o sul significato autentico della felicità.

Tramite l'uso di un linguaggio molto colloquiale e colorito, la costruzione di metafore che contengono i simboli dell'immaginario adolescenziale - come la mitica moto di Davide con la scritta "46" - e la creazione di un'anagrafica tutta nuova che vede i protagonisti 'ribattezzati' con nomi brevi quanto un soffio o presi a prestito dalle leggende del Blues, la storia si snoda innanzitutto fra due mondi ben distinti: quello maschile e quello femminile, permettendo all'autrice di dar vita alla rappresentazione di modus vivendi ovviamente opposti ed in storica costante lotta.

La Scuola - con tutti i suoi limiti e contraddizioni, interrogazioni a rischio, pallose versioni dal latino e prof che ancora non ricordano i nomi degli studenti - rimane comunque il punto di assoluto riferimento attorno al quale gravita la vita di questi ragazzi, divenendo al contempo il luogo della formazione sentimentale per eccellenza con coppie amicali contrapposte ad altre d'impronta amorosa che si creano per poi disfarsi e rinascere di nuovo.

Pur conducendo delle esistenze apparentemente piene d'interessi e stimoli, le vite dei protagonisti di questo racconto sono pervase da un forte senso di vuoto e solitudine che ognuno di loro tenta disperatamente di sconfiggere, alcuni rifugiandosi nelle chat dove ci si può inventare un alter ego e si può finalmente essere liberi di fingere e mentire scoprendo nuovi, inquietanti lati di sé stessi; altri baccagliando in chiassose discoteche per inebriarsi di fumo e musica e poi sboccare clamorosamente all'alba; altri ancora facendo pericolose scorribande in moto o scivolando per pendii ghiacciati a bordo di una vecchia camera d'aria: il tutto in una sfida feroce verso la morte.

Telefonate interminabili e cascate di messaggi , sigarette fumate a metà, tatuaggi, videogames, Manga, la musica negli auricolari e le classifiche dei ragazzi più belli sono solo il tramite per alleggerire il peso di quel destino il cui filo, come recita il titolo, lega inesorabilmente gli individui fin dalla nascita limitando quindi le loro scelte di vita. Nei retroscena di tutto questo teatro però, traspare una voglia infinita di tenerezza 'dettaglio' che non tutte le famiglie forse riescono più a dare perchè letteralmente schiacciate da situazioni sentimentali traballanti, ritmi di lavoro stressanti e problemi economici non indifferenti, e la Scuola dal canto suo riuscendo a malapena a sopperire ad un'educazione di base, esula dal rapporto umano lasciando in questi ragazzi un senso come di spaesamento che li porta a gesti d'insubordinazione ed atteggiamenti di falsa, pericolosa spavalderia.
Sopravvivono però, miracolosamente, la ricerca dell'amore puro e dell'amicizia vera, e nonostante le bravate da ragazzi dissoluti permane comunque una visione femminile che comporta l'equazione 'donna-casa-mamma' riportandoci a dei canoni familiari molto tradizionali e radicati. Canoni che ritroviamo anche nella descrizione della città: Torino, vista attraverso il parco, le fermate dei tram, i Murazzi e via Garibaldi, ma sempre e comunque sentita come 'una famiglia' protettiva, che nel suo essere così provinciale, con quel suo continuo incontrare per strada gente conosciuta, rassicura e conforta perchè sembra sempre che gli uni sappiam tutto degli altri e di ciò che in definitiva riserverà il futuro. E questa stessa provincialità la si respira nei frequenti 'piemontesismi' sparsi qua e là nel racconto: dalla citazione dei 'cicles' alla definizione di 'barotto'.

Parecchi sono i rimandi al Giovane Holden di Salinger o ai personaggi di Andrea de Carlo: romanzi di formazione che descrivono la fatica del divenire adulti ed il disperato tentativo di sfuggire agli schemi sociali attraverso svariati riti d'iniziazione. Persino Cosimo d'altronde - adolescente d'altri tempi e stanco della vita piena di regole e costrizioni - decide all'improvviso di andare a vivere sugli alberi per non scendere mai più, diventando per sempre un Barone Rampante.

Giunti all'ultima pagina di questo racconto si ha la netta sensazione che, nonostante le ribellioni feroci, l'anticonformismo a tutti i costi, le carriere scolastiche a volte fallimentari e le discussioni vane sull'esistenza del destino, l'autrice riesca comunque a regalarci la visione d'una gioventù portatrice di una profonda nobiltà d'animo, ricca d'una purezza e d'una genuinità disarmante lontana anni luce dalle cronache giornaliere portatrici accanite di violenze gratuite.

"La felicità esiste..." - pensa risoluta Anna - "...basta spiccare il volo!" - cosa non facile per gli adolescenti di ogni tempo e di ogni dove, ma la volontà stessa di affrontare la vita, la caparbietà e la sfrontatezza di volerla cambiare nonostante il destino faccia a volte capolino, rimangono comunque un forte segno di sana vitalità.

Maria Grazia Casagrande

sabato 22 novembre 2008

Il filo rosso del destino è stato adottato

Buongiorno a tutti,
è passato un po' di tempo dall'uscita in libreria de "Il filo rosso del destino" e devo dire che ho avuto alcune belle soddisfazioni, per le quali devo ringraziare i miei amici e tutti coloro che mi hanno sostenuto. Vi scrivo per segnalarvi che il libro è stato adottato come testo di studio da due classi (una terza classico e una quinta scientifico) del Liceo Statale Giorgio Spezia di Domodossola, come esempio di romanzo contemporaneo.
A lettura ultimata i ragazzi mi manderanno le loro recensioni che sarò felice di pubblicare sul blog.

ciao e buona lettura,
Serena

martedì 10 giugno 2008

Presentazione

Ciao a tutti!
Mi chiamo Serena Avezza, ho 21 anni, e ho recentemente pubblicato un romanzo, si tratta del mio primo libro. Si intitola “Il filo rosso del destino”, è edito dalla Casa Editrice Uni Service ed è ambientato tra le mura del mio ex liceo, il Carlo Cattaneo, a Torino. Il racconto nasce dall’intrecciarsi delle storie di alcuni studenti, per arrivare a tratteggiare un ambiente e persino un modo di essere, tipicamente adolescenziale. È un romanzo rapido, dialogato e di lettura scorrevole. Consiglierei a tutti quelli che hanno nostalgia dei tempi del liceo, o che lo stanno frequentando, o semplicemente a chi leggendo queste righe si è incuriosito, di visitare il sito: http://ilfilorossodeldestino.blogspot.com/ dove potrete trovare tutte le informazioni del caso. Se qualcuno invece volesse contattare me, per qualsiasi informazione al riguardo, può farlo all’e-mail SerenaAvezza@gmail.com . Avendo io pubblicato con una piccola casa editrice, il passaparola è l’arma migliore per diffondere il mio lavoro, per cui vi prego di diffondere il più possibile la notizia dell’esistenza di questo libro, anche su Internet. Grazie a tutti!
Ciao Serena Avezza

mercoledì 28 maggio 2008

Recensione ufficiale


Serena Avezza “Il filo rosso del destino” Casa editrice Uni Service Pagg. 105 Euro 11,50
“Il filo rosso del destino” è un breve romanzo adolescenziale, esordio letterario della scrittrice ventenne Serena Avezza. Una lettura piacevole: cento pagine di scrittura limpida e discorsiva, vicina al parlato, anzi al pensato dei protagonisti, in pieno stile “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, capolavoro di Brizzi. “Il filo rosso del destino” è infatti un libro che parla di scuola, di studenti, e lo fa esattamente come questi studenti potrebbero raccontarlo al telefono ad un amico a fine giornata, oppure scriverlo sul loro diario segreto. Il narratore parla come i suoi personaggi, il discorso indiretto libero regna sovrano, ma in tutto questo l’autrice non dimentica di tratteggiare certi frammenti lirici della quotidianità. Il titolo fa riferimento alla nota leggenda orientale, secondo la quale un dio dell’amore, quando nascono, lega con un invisibile filo rosso i mignoli delle persone che in vita saranno destinate ad innamorarsi. Ma il significato del titolo va aldilà della leggenda, per diventare il leitmotiv che unisce le diverse storie che ci vengono narrate. Nel gustoso quadro di una Torino vista attraverso gli occhi di una liceale, si intrecciano le vicende di alcuni studenti del liceo Cattaneo. La protagonista è Giulia, una ragazza piena di carattere, che ama lottare, emergere dalla massa, pensare diverso. Attorno a lei si muovono Dave, il compagno di bravate, ma forse meno sicuro di sé di quello che appare; Cesare, il classico ragazzo che ha tutto, e vuole conquistare l’unica persona che non ha intenzione di passare tempo con lui; Anna, una sognatrice che cerca la favola con un ragazzo e finisce per trovarla davvero, ma con un altro; e Cristina, la piccolina del gruppo, che sembra ingenua ma si rivela l’unica sensibile a certi piccoli dettagli che la circondano. Le fila delle vita dei ragazzi che si incontrano tra le pagine sono tutte legate dal sempre presente Filo Rosso del Destino, che sembra aver già deciso per tutti loro quale sarà il percorso che dovranno seguire: coincidenze e rivelazioni aiutano i protagonisti a proseguire il loro cammino fino all’ultima, rivelatrice, pagina. Un libro da leggere se si hanno 14 anni e ci si vuole riconoscere o se di anni se ne hanno 40 e si vuole cercare di capire quella strana creatura che gira per casa e che si credeva essere nostro figlio, o nostra figlia, e non si riconosce quasi più. “Il filo rosso del destino” si può trovare in libreria su prenotazione (o direttamente tra gli scaffali di Libropoli, in via Sant’Ottavio 25/d) oppure sul sito http://www.ibs.it/ o http://www.uni-service.it/ .

Rassegna Stampa

È uscito in libreria “Il filo rosso del destino”, esordio letterario della nostra amica e collega Serena Avezza. Nel gustoso quadro di una Torino vista attraverso gli occhi di una liceale, si intrecciano le vicende di Giulia, Cesare, Anna, studenti al liceo Carlo Cattaneo. Cento pagine di scrittura limpida e discorsiva, vicina al parlato, anzi al pensato dei protagonisti. Una lettura piacevole, in cui i giovani si possono ritrovare e da cui gli adulti potranno trarre attimi di piacevole intrattenimento.
“Il Corriere Sportivo”, 28 aprile 2008


“Il filo rosso del destino” è un breve romanzo autobiografico, ambientato tra i banchi di un liceo torinese: le vicende, gli amori, e le “tragedie adolescenziali” di un gruppo di amici si intrecciano per 102 pagine intrise di dialoghi in pieno stile “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”.
Giulia vuole l’amore, ma quello della sua migliore amica; Anna vuole la favola, a la trova con Daniele; Rubens vuole il divertimento, senza pensare alle conseguenze; Cesare pensa di volere tutte le ragazze, finché non si innamora dell’unica che sembra non volere lui. Tutto questo in una cornice di compiti, interrogazioni, chiacchiere sui divani, feste con gli amici, senza scordare l’onnipresente Filo Rosso del Destino, che sembra aver già deciso per tutti loro quale sarà il percorso che dovranno seguire: coincidenze, avvenimenti non casuali e rivelazioni aiutano i protagonisti a proseguire il loro cammino fino all’ultima, rivelatrice, pagina. [...] Un libro da leggere se si hanno 14 anni e ci si vuole riconoscere o se di anni se ne hanno 40 e si vuole cercare di capire quella strana creatura che gira per casa e che si credeva essere nostro figlio, o nostra figlia, e non si riconosce quasi più.
Silvia Nazzareni, “La Nuova Voce di Torino”, 6 maggio 2008


L’autrice è già conosciuta dai nostri lettori proprio perché in questa rubrica, per circa un anno ha firmato molte recensioni. Serena ha infatti frequentato la redazione di Torino Medica come stagista e, in questa veste, ha dimostrato subito le sue grandi qualità e capacità tanto da apparire subito con la sua firma tra le pagine di questa rivista.
Devo dire subito che mi ha fatto uno strano effetto sfogliare questo libro scritto da una collega giovanissima e brava; all’inizio ho pensato che questa sensazione fosse nata quasi da un improvviso ribaltamento di ruoli: anche se Serena è arrivata in redazione per imparare il mestiere, la sua preparazione culturale ha subito reso paritetico il rapporto personale con chi scrive. Il darsi del tu, ad esempio, è stato un momento che ha suggellato un percorso di colleganza professionale che ha saltato a piè pari l’ultratrentennale differenza d’età.
In altre parole non mi ero reso conto di quanto Serena fosse giovane… All’inizio, questo vago alone di disagio che mi preso nel leggere questa piccola e originale opera pensavo fosse dovuto alla mia inevitabile intrusione nella vita privata di questa ragazza che mi è piombata in redazione sfoggiando sicurezze e capacità culturali di sicuro inimmaginabili (almeno da me) alla sua età. Poi, proseguendo nella lettura, mi sono reso conto che il problema era soltanto mio: mi sono reso conto improvvisamente, leggendo le veloci pagine di questo libro, di avere più di 50 anni e che io e Serena viviamo nello stesso mondo ma paradossalmente in galassie diverse dove le due realtà hanno differenze che si possono comunicare, narrare ma sono di fatto insanabili. Leggere questo libro mi ha in sostanza restituito una percezione più attendibile dell’età anagrafica che possiedo perché mi ha obbligato a misurarmi con realtà giovanili che conosco soltanto attraverso la cronaca e che non ero riuscito ad identificare nemmeno attraverso l’attività di insegnamento che mi porta a confrontarmi intellettualmente con persone che hanno appena raggiunto la maggiore età.
“Il filo rosso del destino” è davvero un’opera originale, ad iniziare dal titolo: bello, che induce ad aspettative di trama, puntualmente tradite sin dalla prima pagina, come si conviene ad autori molto più navigati della nostra piccola, grande Serena. Anche l’armoniosità del filotto di parole del titolo è subito sconfessata dallo stile del racconto che è secco, senza tanti aggettivi, infarcito di espressioni giovanili che, distrattamente o con qualche fastidio, siamo abituati a sentire per strada.
L’uso ossessivo dell’indicativo presente nelle formulazioni verbali risulta ansiogeno ma dà ritmo alla spigolosa narrazione e restituisce al lettore una dimensione quasi fisica della realtà giovanile di un liceo torinese. E si intuisce, attraverso una lettura più attenta allo stile che alla trama (sfrangiata e di fatto non sintetizzabile, come quella di un reality show televisivo), che l’autrice ha molto lavorato sulle modalità di espressione: le frasi iniziano quasi sempre con un tono rotondo, elegante, piano, classico, ma tendono a finire in modo sincopato, mischiando magari in una stessa riga il racconto dell’autore con il discorso diretto del personaggio.
La stessa efficace e felice asimmetria espositiva sconvolge non soltanto il linguaggio ma anche i concetti esposti attraverso la narrazione: un discorso profondissimo sul possibile significato di un bel cielo carico di nuvole al tramonto, ad esempio, può esaurirsi nel descrivere il rapporto che un personaggio intrattiene con la meritocrazia e il voto scolastico.
Una domanda che al di là dei possibili meriti culturali e letterari dell’autrice mi viene spontaneo fare soprattutto a chi, carico di anni e spesso d’onori, snocciola, senza il minimo beneficio del dubbio, giudizi senz’appello sui giovani, il loro mondo, i loro valori: chi non farebbe carte false per avere come figlia o nipote una “bambocciona” come Serena?
Nicola Ferraro, "TorinoMedica" luglio-agosto 2008


QUANDO I TEENAGERS RICORDANO E CREANO

L’inizio è bello, avvolgente, una chiara enunciazione della grande potenzialità di Serena Avezza. Sfogliando le pagine di questo delizioso libro, sembra di avere tra le mani un gustoso cono con tanti gusti di fresco gelato, e la mente associa ogni sapore ai tanti curiosi e particolari personaggi descritti nel romanzo di Avezza. La giovane autrice –dopo essersi diplomata nel liceo di cui racconta, frequenta con successo gli studi di Lettere Moderne e Contemporanee- ci regala emozioni intense con la sua ultima opera editoriale, “Il filo rosso del destino”. Narra dell’intreccio di storie di vita quotidiana di adolescenti sullo sfondo della routine scolastica del liceo Carlo Cattaneo di Torino. Una serie di racconti riempie le pagine di questo particolare libro; tanti sono i personaggi che si susseguono con le loro storie raccontate dalla giovane autrice con infinito piacere e un pizzico di ingenuità. Tanti sono i giovani di cui ci racconta con grande emozione la scrittrice. Giulia, Alessandra, Davide, Anna e altri. Ogni storia è una creazione attraente che cattura con facilità la mente. Tali creazioni suscitano un forte impatto emotivo e fanno nascere uno spazio magico in cui si muovono le vicende dei teenegers come farfalle, candidamente. La stessa immagine eterea e limpida la ritroviamo nel dipinto di Katsushika Hokusai “Peonie e farfalle nel vento” sulla copertina del libro. Serena ci dà un quadro realista dei liceali d’oggi. Ogni racconto del libro si compone armonicamente con quello successivo; la sua gioia di vivere e di scrivere la trasmette con passione e delicatezza al pubblico. Ciò che più importa è l’esistenza permanente in tutto il libro di una profonda musicalità e del senso del contrappunto. La giovane scrittrice ora tende, ora lascia andare un po’ il filo che lega i suoi personaggi: ad un certo punto essi fluttuano in uno spazio altrove con i loro dubbi, domande sulla vita e sull’amore. Curioso domandarsi il perché di un titolo così enigmatico, altrettanto bello farsi cullare dalle pagine di questo romanzo e scoprirlo tornando un po’ adolescenti.

Silvia Ferrara, "Il Corriere dell’Arte", venerdì 3 ottobre 2008

Recensione di amici

Recensione 1
Ne Il filo rosso del destino – romanzo d’esordio della giovane Serena Avezza – tragedie ed aspirazioni, problemi veri e dilemmi futili, amori e catastrofi di un gruppo di liceali si intrecciano sullo sfondo di una provincialissima Torino pre-olimpiadi, in cui «è buona abitudine […] ricordare ogni volto conosciuto perché, prima o poi, è molto probabile rincontrarlo». Il lungo racconto ricalca in parte la vita vissuta – ma sempre fluttuando tra mera realtà ed onirismo – trasfondendo la spensieratezza tipica adolescenziale, che a tratti strappa un sorriso nostalgico al ricordo degli anni del liceo ed a tratti commuove per la sua drammaticità (come non emozionarsi alla lettura dell’amara sorte di Alberto che gioca a fare il centauro?). Numerose vicende s’incrociano con la trama principale del romanzo: singoli capitoli costituiscono racconti perfetti nella loro autonomia ma che rischiano di rendere ambigua la distinzione tra protagonisti e personaggi secondari – ­tutti approfonditi nella stessa misura – rendendo necessario sfogliare a ritroso il volume quando alcuni di questi si ripresentano. Ambientazione alla Culicchia e stile alla Lucentini: nonostante un incipit non troppo incalzante (al contrario dei capitoli successivi!), il romanzo incuriosisce si legge tutto d’un fiato, grazie alla scrittura rapida e discorsiva. É necessario riconoscere all’autrice che questo stile letterario (la definizione “alla Jack Frusciante” davvero non rende giustizia a questo canone di scrittura) – privo di barocchismi e caratterizzato dalla forte presenza del discorso libero indiretto e del linguaggio gergale – presuppone capacità di sintesi ed un’ampia conoscenza di vocabolario, per trasmettere immagini ed idee nel modo più diretto possibile. In altre parole: è uno stile ricercato, e non significa “scrivere come si parla”! Mi sento di consigliare Il filo rosso del destino a tutti i giovani adulti torinesi che – come la sottoscritta – si stanno affacciando alla vita reale: siamo noi che possiamo apprezzarlo al meglio, riscoprendo espressioni, pensieri e luoghi che fino a pochi anni fa sentivamo così nostri, e che ora stiamo dimenticando... Complimenti a Serena ed alla sua forza di rendere reali i suoi sogni.

Dott.ssa Lucilla “Coccodrilla” G. Moliterno



Recensione 2
Il libro tratta una tematica di per sé non originale, ovvero storie di vita liceale, ed un filone romantico alla Moccia: un binomio che potrebbe anche funzionare, probabilmente poco rischioso, che si propone di appassionare tutti i lettori ma in realtà accontenta solo una certa frangia. Serena ha puntato su un romanzo rilassato e poco impegnativo, spensierato, scanzonato e che faccia sorridere il lettore. Personalmente sono un nostalgico dei tempi del Liceo, e avrei voluto trovare elementi che mi commuovessero o che suscitassero tutti i mille rimpianti che mi nascono quando ripenso a quell’età o a quel periodo. Nel libro non ho trovato questo. Certi brani vengono conclusi troppo in fretta, come se ci fosse il timore di spingersi oltre, di spiegare, di approfondire sia le descrizioni psicologiche sia quelle fisiche o comunque ambientali, rischiando magari di sbagliare. E’ una scelta, ma in questo modo il lettore è impossibilitato a giudicare eventuali abilità narrative, semplicemente perché non esposte. L’autrice è attesa a prove più impegnative, magari inerenti lo stesso filone ma con una dose di rischio e di volersi mettere in gioco in più.

Riccardo Ghezzi



Recensione 3
Domandare a un amico di scrivere la recensione di un libro può sembrare un atto estremamente "manovrato", volto a elemosinare sicuri elogi di cortesia. Così non è, con un velo di presunzione posso ritenermi assolutamente slegato dalla stima dovuta a un' amica e collega.Non lo dico per sollevarmi da ogni responsabilità riguardo quanto segue, nè per introdurre parole che, contro ogni possibile aspettativa, possano esprimere tutt' altro che stima e risultare quindi critiche e poco costruttive per l' opera concepita dall' autrice. Anzitutto, vorrei precisare in maniera del tutto esplicita la mia ammirazione per l' oggetto della questione.Personalmente, per un esordio letterario avrei scartato la possibilità di pubblicare un romanzo di formazione, ritenendo di non poter elaborarne a sufficenza gli aspetti psicologici. E lo avrei sconsigliato, se mai me lo avesse domandato, anche a Serena; tuttavia, il lavoro fatto con "Il filo rosso del destino" , maturato a partire da considerazioni personali sulla propria realtà adolescenziale, mi è parso fin dalle prime righe uno specchio ideale di quella realtà che ho vissuto io stesso (mio malgrado) negli anni del Liceo. Il libro si compone di una "manciata" di eventi che si sovrappongono, si accavallano, appaiono collegati in maniera del tutto naturale e mai artificiosa. Il merito più grande dell' autrice, coetanea di chi scrive l' articolo, è probabilmente quello di aver reso una certa compattezza al proprio lavoro, dipingendo una Torino solo immaginata ma estremamente reale, piena di vita; l' espediente utile a tale scopo è l' interfaccia aperta con la quale ci si può rivolgere al libro, libera scelta di una chiave di lettura che, immancabilmente, pone il lettore all' immedesimazione totale nelle vite dei protagonisti. Eguale o simile immedesimazione che, per forza di cose, ha coinvolto molto da vicino tutti gli alter ego che hanno ispirato la stesura del romanzo, tutti (ne sono certo) infinitamente grati a Serena per aver descritto con delicatezza le loro vite del periodo più grigio.Ma di un grigio che, come sicuramente sanno amici e amiche dell' autrice a cui nel testo velatamente ci si riferisce, come scoprirà anche chi, proseguendo nella lettura dei corrispettivi personaggi "romanzati" (ma neanche troppo), avrà modo di riconoscervisi, rimane un colore appena malinconico, forte comunque di un calore profuso da emozioni e sentimenti propri dell' età.Un grigio, insomma, che corrisponde all' immagine stereotipata di Torino; un grigio sorprendentemente vivo e passionevole.

Valerio Rupo



Recensione 4
Serena Avezza, come scrittrice, nasce per me nel settembre del 2003.
Frequentava la terza liceo scientifico, ed è all'incirca a quel tempo, anche, che risale l'inizio della stesura de"Il filo rosso del destino".
In quella stessa aula del primo piano (l'ultima, in fondo) dove sono ambientate alcune scene del libro, e tra quegli stessi compagni che ne sono i protagonisti, la prof.ssa di Lettere dettò quel giorno un banale "tema", che tanto banale poi forse non era : "Il posto del cuore". Lo spunto le era stato dato da un'iniziativa di Tuttolibri, l'inserto de La stampa, su cui noti autori avevano nelle varie settimane di quell'estate scritto un testo ispirato loro dall'argomento. Serena, che nei due anni precedenti si era barcamenata dignitosamente tra i vari compiti in classe, venne fuori a sorpresa con quattro magiche pagine
che portarono l'insegnante, per il tempo della lettura, tra i
profumi, il calore, l'atmosfera della Versilia, abbozzando figure indimenticabili, degne di stare in un film. Tra di esse, Anna, la protagonista indiscussa di tutte le pagine che vennero dopo di quelle, quelle per gli amici, quelle per i vari concorsi (vinti!) e anche
quelle che tutti possono ora leggere in un "vero" libro. Per
goderselo al massimo, certo, bisognerebbe essere stati lì, in quell'aula, aver sentito il ticchettio leggero dei tacchi della prof.
di Inglese, ricordare un certo maglione giallo, rivedere come se lo si avesse davanti agli occhi il gesto inconfondibile di una mano tra i capelli, riconoscere una ragazza dalla descrizione del suo modo di muoversi, arrabbiarsi un poco, sorridendo, per certi particolari atteggiamenti spiati nella sottoscritta e resi con tenerezza e ironia... Ma anche senza di ciò, venite a conoscerci. Diventeremo amici.

La prof.ssa Marino (Mariangela Danzero).



Recensione 5
Premesso che il libro o film con storia “generazionale” non è sicuramente il mio preferito, il tuo libro mi è piaciuto.
Mai sono riuscito a immedesimarmi nei personaggi delle storie che leggevo come con i tuoi. Il tuo modo di scrivere, a volte un po’ abbondante di punteggiatura, ha la capacità far provare fisicamente le gioie e i dolori dei personaggi.
Un po’ di fatica l’ho fatta nel ricordarmi i nomi di tutti i personaggi.

Carmelo


Recensione 6
A dispetto dell’età dell’autrice, ho trovato il romanzo molto scorrevole e di conseguenza facile da leggere. In molte situazioni ho rivisitato momenti della mia adolescenza, con alcuni attimi colmi di nostalgia, ma contento di rivivere le stesse sensazioni venticinque anni dopo grazie all’evolversi delle varie storie di questo gruppo di liceali. La spontaneità e il calore con cui vengono narrati attimi della loro esistenza permette di rendere la storia pari alla realtà quotidiana, con un intrecciarsi di situazioni che obbligano il lettore a ricordare continuamente i vari personaggi. Ma nonostante questo la storia non presenta spezzettature ma anzi analizza con calma diverse situazioni che si accavallano continuamente, in cui i giovani d’oggi si possono riflettere. Un romanzo colmo di sentimenti adolescenziali che rispecchiano l’evolversi del tran tran quotidiano in una città come Torino, ma che riempiono queste pagine di passione e voglia di vivere.
Renato Carrain




Se qualcuno volesse aggiungere la propria recensione la spedisca a
SerenaAvezza@gmail.com e verrà pubblicata (Indicate per favore come firmare il pezzo).

Capitolo 1

Paranoie

Cammina verso scuola, un piede dietro l’altro, meccanica.
“Ehi, Giù, aspettami.”
Giulia si gira un po’ scocciata, poi sorride: è Davide. Si ferma, lui affretta il passo e la raggiunge.
“Lo sai che fa male fumare a quest’ora di mattina? Per punizione ce la smezziamo!” Davide non ribatte, le passa la sigaretta, rassegnato. Sono mesi che Giulia si promette di smettere di fumare e, per ora, l’unico risultato è che le siga, invece di comprarsele, le scrocca.
Vanno avanti nella nebbia, in silenzio, fino al cancello azzurro dove domina un grosso cartello con la scritta “Liceo scientifico statale Carlo Cattaneo”.
“A cosa pensi?”.
La domanda la scoccia, non sa neppure lei perché.
“Niente. Forse penso a quanto sia assurdo farsi paranoie su tutto.”
“Già” annuisce Davide, pensando tra sé e sé “peccato che, come sempre, la pratica sia molto più difficile della teoria.”
“Sì, ma io sono un caso disperato: fino a un mese fa mi facevo le seghe mentali perché credevo di non piacere fisicamente al mio ragazzo, ora ho paura che stia con me solo per il sesso. Deve esserci qualcosa di sbagliato in me.”
“Non dire scemenze, tu vali un casino.” Risponde lui, come ripetendo le battute di un copione già scritto.
“Grazie, ma…”
“E poi è ovvio che Luigi sta con te solo per il sesso. A meno che non sia cieco.”
“Auh!” Davide sa di essersela meritata la gomitata, però è felice lo stesso mentre la guarda saltare gli ultimi due gradini e sparire dietro l’angolo, verso la porta della loro classe.